Dedicato a tutti gli amanti della storia, dell’arte e dell’archeologia: una panoramica a volo d’uccello sul passato, per scoprire una città sconosciuta che torna a vivere sotto i nostri occhi, con i suoi grandiosi monumenti e le sue meraviglie nascoste.
Le arcate dell’acquedotto visibili oltre il fiume bormida
AQUAE STATIELLAE
Dopo la sconfitta di Annibale Roma punisce i popoli cisalpini, colpevoli di aver favorito la calata dei Cartaginesi. La collera dei vincitori si abbatte con particolare violenza sui Ligures e sulla tribù degli Statielli con massacri e deportazioni: il loro territorio è strategico per il controllo dei valichi e i conquistatori non vi possono rinunciare.
Alla sconfitta definitiva (148 a.C.) seguono la divisione dei terreni tra i coloni latini e l’apertura di nuove strade attraverso l’Appennino per il completo dominio della regione.
Acqui nasce in quegli anni e si sviluppa alla spicciolata, per contingenti successivi, senza una vera e propria a fondazione. Solo nell’89 a.C., dopo la guerra sociale, la città compare nei testi come colonia di diritto latino iscritta alla tribù Tromentina. La sua giurisdizione i si estende ad un ampio comprensorio agricolo e la via Aemilia Scauri la collega a Vada Sabatia (Vado Ligure) e ai traffici d’oltremare.
Tuttavia sono le proprietà terapeutiche di una sorgente a dare nome e importanza alla città e respiro alla sua economia.
L’ACQUA TERMALE
Gli storici latini la descrivono come centro termale e una grafica di tutto rispetto la segnala nelle antiche carte stradali. Cuore della città non è il Foro, che sorge a margine dell’abitato, ma “La Bollente”, un getto costante di acqua che sgorga alla temperatura di 74,5 gradi con una portata di 400 litri al minuto. In un sondaggio di fine 800 è affiorato il sedile marmoreo (2) che la circondava, un anello di 18 blocchi squadrati largo 4,5 metri, conservato oggi al Museo Archeologico. Le note di scavo fanno cenno ai resti di uno schienale e all’edificio circolare cui si appoggiava.
Un pavimento di cocciopesto portava impresse le tracce di un lastricato e del pozzo quadrato che alimentava la fontana centrale. Diversi frammenti di metope e triglifi suggeriscono una decorazione dorica per questo singolare edificio che aveva forma di tempietto.
Come Aquae Sextiae (Aix Les Bains, Provenza) e Puteolis (Pozzuoli, Campania), Aquae Statiellae era nota nel mondo romano per l’efficacia curativa delle sue acque. Oltre alla quotidiana utenza locale, un notevole turismo termale che oggi diremmo d’élite frequentava i suoi stabilimenti grazie al benessere e alla libertà di movimento che si instaurano con la Pax Augustea, nei primi secoli dell’Impero.
A pochi metri da “La Bollente” gli scavi hanno messo in luce il calidarium di uno stabilimento termale (3), un’ampia sala mosaicata di 10 metri per 7, con un labrum di fianco, un bacino circolare per rinfrescarsi. Nel pavimento a mosaico, il curator Lucio Valerio Ulattio ricorda a caratteri cubitali di aver collaudato l’impianto per volere dei Decurioni, i membri del consiglio municipale. Le tracce di altri ambienti circondavano la sala, ma infiltrazioni d’acqua troppo calda hanno impedito di estendere ulteriormente le ricerche.
2. Resti del sedile circolare e dell’edificio intorno alla fonte “La Bollente” rinvenuti nel XIX secolo e conservati in parte nel Museo Archeologico di Acqui Terme.
3. Resti e ricostruzione dell’aula termale scavata presso “La Bollente”, e del labrum circolare che l’affiancava
IL FORO
In età augustea anche il Foro viene rivisto in chiave monumentale e la piazza è lastricata in calcare bianco.
Un sondaggio ne ha rimesso in luce il settore centrale (8), in piazza Addolorata, insieme alle fondazioni di un monumento quadrato.
Ai margini della piazza, un’ampia sala mosaicata porta la firma di Marco Ottavio Optato, il magistrato che l’aveva inaugurata. Più a nord, in via Cavour, sono emerse le tracce di un doppio corridoio diviso da pilastri (9): ricordano il criptoportico che negli stessi anni circonda i templi dell’area sacra in città come Augusta Praetoria (Aosta) o Arelate (Arles). Cornici, marmi pregiati e altri frammenti architettonici confermano l’alta qualità del complesso, adibito a funzioni liturgiche.
La posizione del Foro, così decentrata, privilegia i quartieri periferici di nord-est (10) e valorizza le dimore dei patrizi e dei liberti più imprenditivi. In via Maggiorino Ferraris sono emerse diverse domus lungo l’asse obliquo che collegava la via Aemilia al Foro. Come altre case di Aquae Statiellae, mostrano pavimenti a mosaico, pareti affrescate e rivestimenti marmorei, sintomi evidenti del buon tenore di vita dei suoi ceti privilegiati.
9. Resti e ricostruzione di edifici attribuiti al Foro di Aquae Statiellae affiorati nel scavi di via Cavour.
8. Resti e ricostruzione di un settore della platea forense (piazza Addolorata).
LE TERME
Una sorgente calda e terapeutica è per gli antichi un dono degli Dei; in loro onore, a ridosso de “La Bollente”, sorge un teatro (4) come nei maggiori santuari della romanità.
La scena è rivolta verso la sorgente con un fronte porticato, emerso in antichi scavi, e l’ampia cavea si adagia a ventaglio sul pendio, senza bisogno di particolari sostegni.
Presso via Scatilazzi ne emerge il settore centrale (5), con le gradinate per gli spettatori servite da una scala radiale. A sud dell’abitato lungo la via Aemilia sorgeva l’anfiteatro (6). I sondaggi hanno evidenziato un tratto dell’ellisse e diversi muri radiali di sostegno alle gradinate.
A breve distanza sono emersi alcuni vani riscaldati di un altro impianto termale pubblico (7) e la sua grande piscina (14,51 x 8,15 metri). Questa era rivestita di marmo bianco delle cave di Luna (presso Carrara) ed era preceduta da tre gradini. A giudicare dai frammenti rinvenuti, l’apparato decorativo degli ambienti intorno doveva essere addirittura sontuoso con lesene corinzie, cornici e rivestimento in marmi colorati.
7. Resti e ricostruzione della piscina e delle aule termali conservate in via Bagni
5. I resti delle grandinate del teatro visibili in via Scatilazzi
L’ACQUEDOTTO
Al tempo di Augusto le sorgenti non bastano più e lo sviluppo urbano impone la costruzione di un acquedotto (11). L’acqua viene captata dal torrente Erro, in Località Lagoscuro, e attraverso un condotto sotterraneo (12) lungo circa 11 chilometri giunge in vista della città (regione Marchiolli). Qui affronta su poderose arcate l’ultimo tratto, volutamente scenografico, supera la Bormida e raggiunge l’altura del castello, il punto più alto della città, dove viene distribuita agli impianti urbani.
Una cronaca di fine 400 ci informa della scoperta in riva al fiume di numerose fistulae in piombo, tubature del diametro di 25 centimetri per 2,20 metri di lunghezza che alludono ad un probabile attraversamento a sifone del corso d’acqua. Le arcate rimaste hanno un diametro di 6,90 metri e circa 20 di altezza. L’acquedotto riforniva a caduta gli impianti termali della città, le case patrizie e soprattutto le numerose fontane pubbliche dislocate lungo le vie. In corso Roma se ne conserva una praticamente intatta con fondo e pareti in pietra (13).
Città accogliente per vocazione, Acqui romana non era difesa da mura o perlomeno nessun sondaggio le ha mai intercettate. E probabile che una palizzata preceduta da un fossato le sostituisse come nelle vicine Libarna, Pollenzo e Bene Vagienna, almeno in epoca tarda quando la pax romana entrò in crisi.
Le indagini confermano un reticolo urbano ortogonale e, in assenza di mura, sono piuttosto le aree cimiteriali a definire l’estensione dell’abitato. Steli e corredi funebri provenienti dalle necropoli sono esposti al Museo Archeologico che ha sede nel castello dei Paleologi, Signori del Monferrato.
12. A destra, una sezione della condotta sotterranea che convogliava l’acqua del torrente Erro dalla presa in zona Lagoscuro fino in regione Marchiolli, in vista della città
13. La fontana pubblica in pietra conservata in corso Roma.